Nel mio cuore nessuna croce manca
Nel mio cuore nessuna croce manca
Gerardo Salinardi
Gerardo Salinardi
il Prof. Luigi Luccioni Ricorda Gerardo Salinardi
Sono molto grato alla famiglia Salinardi ed al Presidente del Centro di Studi Storico – Militari prof. Galasso per aver voluto affidare a me un ricordo di Gerardo.
E’ un compito che ho accettato volentieri ma di cui sento il peso in quanto ricordarlo e ripercorrerne il suo cammino terreno è molto impegnativo perché lui fu un uomo di grossa caratura personale, sociale, culturale e morale.E’ difficile dire quale tra i suoi molteplici interessi e tra i suoi grandi impegni lo vide eccellere di più, dal momento che egli affrontò con uguale serietà, coerenza e profondità tante tematiche in connessione con la nostra terra, da quelle più antiche attraverso i suoi studi e le sue competenze archeologiche, numismatiche, storiche, a quelle più vicine nel secolo ventesimo delle due guerre mondiali che tanto colpirono anche la Basilicata. In seguito, nel secondo dopoguerra, fu un protagonista di quegli anni di fervore che si accompagnarono ad una nuova visione sociale fatta di maggiore giustizia e di miglioramenti generali delle condizioni di vita e di lavoro dei ceti storicamente subalterni, arretrati, sofferenti, fino ad allora privi di peso politico ed economico.Ricordo una frase che gli rivolse in mia presenza Vincenzo Verrastro, uomo colto prima che politico, senatore e primo presidente della Giunta Regionale di Basilicata, che lo stimava in modo particolare, nel corso di una delle tante manifestazioni a cui autorevolmente presenziava: “Dove c’è Gerardo – disse – c’è cultura e dove c’è cultura c’è Gerardo”. E credo che queste parole costituiscono una sintesi del suo essere e che tutti quelli che lo avvicinarono e frequentarono non possono non condividere. Egli amava profondamente la nostra terra e questo traspare sempre dall’amore filiale con il quale si rivolse alle sue antiche e recenti memorie e che seppe trasferire, da vero maestro e da vero gentiluomo, a tutti coloro che a lui si rivolsero per ricevere consigli, indirizzi di studi, informazioni, pareri che forniva con generosità, con gioia e con semplicità. E per questo fu anche un vero e proprio educatore.Quando tanti anni fa lo conobbi e cominciai a frequentarlo mi apparve e lo stimai subito soprattutto come persona disponibile ed affettuosa ed egli seppe elargire questa sua amicizia e questa fiducia per me per tutta la sua vita successiva, sempre sorridente ed affabile. Quando si ammalò mi chiedeva conto di quella sua malattia la cui natura gli sembrava inspiegabile soprattutto per come si era rivelata quasi per caso e che invece in seguito era andata precipitando in modo tumultuoso. Voleva venirne a capo razionalmente facendo ricorso a quella sua grande cultura e capacità di approfondimento, ma non vi riusciva e questo forse più delle sofferenze gli resero più dolorosi gli ultimi tempi.Prima di arrivare al ricordo della sua figura di soldato e di vero patriota, che credo in questo contesto debba trovare una sottolineatura particolare, trovo sia giusto percorrerne assieme un suo profilo biografico a tutto campo, soprattutto per coloro che non ebbero la fortuna di conoscerlo e frequentarlo direttamente.Nato a L’Aquila l’1 novembre 1913, dopo aver conseguito la laurea in Scienze Agrarie presso l’Università di Perugia e l’abilitazione alla professione di agronomo preso l’Università di Milano, iniziò ad approfondire varie tematiche sulla economia agraria della Lucania.Stabilì subito contatti relativi alla sua specifica competenza professionale con uomini di grande peso come Manlio Rossi Doria, Gioacchino Viggiani ed altri illustri conterranei. A 24 anni, nel 1937, partecipò al corso per allievi ufficiali di complemento ed il 2 febbraio 1940 conseguì il grado di Sottotenente di Fanteria. Nell’ottobre 1940, a pochi mesi dalla dichiarazione di guerra, arruolatosi come volontario, fu assegnato al 360° Battaglione Costiero. Partecipò in seguito a tutte le principali fasi della guerra: nel 1940 – 41 alla campagna di Albania, nel 1942 alla campagna d’Africa fino alla battaglia di El Alamein, nel 1943 – 44 alle operazioni in Corsica e Sardegna ed infine alla guerra di Liberazione.Riportata una prima ferita in combattimento sul fronte albanese il 10 aprile 1941 gli fu conferita la “Croce di guerra” al valor militare “sul campo”. Conclusa quella campagna, dopo aver chiesto di essere trasferito sul fronte africano, il 9 luglio 1942, mentre era in carico al 65° reggimento di fanteria motorizzata della divisione “Trieste”, a Quota 21 di El Alamein fu nuovamente ferito gravemente in combattimento al torace riportando una lesione pleuro – polmonare ed immediatamente proposto “per le sue doti di animatore e trascinatore di uomini” per la medaglia d’argento al valor militare anche questa volta “sul campo”.Rimpatriato con la nave ospedale “ Città di Trapani” il 29 luglio, fu ricoverato nell’Ospedale militare di Napoli da cui fu dimesso il 26 agosto.Ai primi di novembre 1942, promosso tenente, fu trasferito al Deposito del 65° Reggimento fanteria di Piacenza, da dove con il 486° Battaglione Costiero, nel marzo 1943, fu destinato in Corsica e poi il 10 ottobre 1943 in Sardegna.Promosso capitano il 7 giugno 1944 lasciò quel reparto per ritornare in continente con l’incrociatore “Garibaldi” e quindi fu collocato in congedo il 22 giugno 1944.Quelle qui riportate in sintesi e con scarna successione temporale sono le vicende che fanno da sfondo a due tra le sue opere più significative e cioè al Diario di guerra ed all’Epistolario raccolti nel suo volume “All’ombra della mia bandiera” edito in una prima edizione nel 1983 e ristampato poi a cura della Deputazione di Storia Patria per la Lucania nel 1989. La lettura di questa pagine andrebbe riproposta oggi nelle scuole tra le giovani generazioni in cui prevalgono soltanto i valori dell’effimero e la corsa al possesso di beni materiali, in un assoluto vuoto etico accompagnato da una diffusa ignoranza. Addirittura talvolta si assiste al dileggio di quanto regolò e caratterizzò l’operato e gli ideali di uomini che come Gerardo si dettero senza discutere e senza chiedere niente a quella che allora veniva con commozione chiamata “Patria” e che oggi dopo essere stata definita “Nazione” è scaduta al rango di “Paese”.I tragici eventi di cui fu attore e testimone durante quei difficili anni di guerra da Gerardo sono narrati in un racconto da cui ancora oggi traspaiono il giovanile entusiasmo senza retorica e soprattutto un grande senso del dovere.Vi rivivono tanti particolari episodi di abnegazione, umanità e solidarietà tra uomini che sbattuti nelle montagne dell’Albania o tra le sabbie del Deserto Libico, mal vestiti, mal nutriti e soprattutto male armati cercavano di reprimere la nostalgia per la loro casa e le loro famiglie lontane per svolgere con spirito di adattamento e di sacrificio quello che, anche se non condiviso, ritenevano un dovere da compiere.A mio giudizio tra le cose che maggiormente evidenziano la grandezza di questo combattente è che non emerge mai da quegli appunti presi frettolosamente o meditati nelle pause delle battaglie una critica, un senso di ribellione, un lamento, una imprecazione anche quando l’evidenza dei fatti avrebbe spinto chiunque a farlo in modo forte. Meno che mai commenti politici e critiche alle alte gerarchie del regime o dell’esercito di cui spesso si evidenziavano l’improvvisazione e la inefficienza.In una sola circostanza si legge un momento di disorientamento ed è quando l’11 dicembre 1942 in seguito all’avvenuta dichiarazione di guerra agli Stati Uniti d’America da parte dell’Italia annotava: “Che Iddio ce la mandi buona!”. La sua intelligenza lucida, la sua cultura, il suo acuto spirito critico gli facevano capire che contro il colosso americano non poteva non finire come poi sarebbe finito e cioè con un disastro. Ma non una parola di paura, di tentennamento di fronte a ciò che quella sciagurata decisione avrebbe potuto fare accadere immediatamente o in seguito a lui ed ai suoi uomini. Egli era sorretto da una salda formazione ricevuta nella sua famiglia, ricca di antiche tradizioni civili e religiose, di radicati sentimenti di patria, di rigore militare, di forte spirito di sacrificio ed anche di abitudini spartane di vita.In lui convergevano anche quei solidi principi della sana borghesia rurale lucana di ascendenze ottocentesche, fondata su fortissimi vincoli familiari, umanità, fermezza morale. Il nonno materno Giuseppe Todini era stato volontario nella guerra del 1866 ed in quella del 1870, il nonno paterno Gerardo capitano nella insurrezione lucana del 1860, lo zio Pasquale ammiraglio di squadra nella prima guerra mondiale ed infine l’amatissimo padre Ernesto, generale di brigata, aveva combattuto sul Carso nella guerra 1915- 18. E Gerardo sentì senza se e senza ma, come si direbbe oggi, di dover essere all’altezza di queste sue tradizioni familiari. E certamente lo fu.Dall’”Epistolario” ed in particolare dalle lettere dei genitori emerge anche la Basilicata di quegli anni, aggiungendo un tassello di grande interesse nella conoscenza di come venivano vissute dalle famiglie le terribili vicende della guerra, le ristrettezze ed i razionamenti alimentari, le difficoltà della vita di tutti i giorni, la paura per i bombardamenti aerei, i timori e le scarse notizie dei cari lontani, spediti in terre che in molti casi non si riuscivano a trovare neanche negli atlanti geografici, per chi era in grado di averli e saperli leggere, mentre per la massa scarsamente o affatto scolarizzata restavano soltanto nomi misteriosi, sconosciuti, sperduti.Sentiva forte il legame di solidarietà ed amicizia per i suoi commilitoni ed ai sopravvissuti rimase legato anche dopo gli eventi bellici aiutando pure coloro che, come Paolo Caccia Dominioni, vennero a trovarsi in difficoltà nel dopoguerra e negli anni della vecchiaia.Ammirevole ed esemplare il deposito che volle effettuare presso l’Archivio di Stato di Potenza di tutti i documenti originali pubblicati nel “ Diario” e nell’”Epistolario” perché rimanessero a disposizione e quale testimonianza per tutti coloro che anche negli anni avvenire volessero approfondire tanti aspetti poco noti o ancora in ombra di quei terribili anni lontani.Finalmente chiusa la dolorosa parentesi della guerra si aprì per Gerardo un nuovo e diverso scenario. Quello della ricostruzione, della trasformazione della società e della economia che in Basilicata era allora quasi esclusivamente agricola e per di più fatta da una agricoltura arretrata, povera, poco remunerativa, di una regione che pativa i danni di secolari distrazioni governative, che in alcune zone era stata depredata da un latifondo parassitario chiuso a qualsiasi apertura di modernità.Furono gli anni della speranza e delle prime riforme, tra queste quella che maggiormente incise sulla nostra regione fu la Riforma Fondiaria la cui legge stralcio venne licenziata nel 1950. E così come aveva servito con onore la “Grande Patria” in guerra Gerardo Salinardi seppe servire la “Piccola Patria Lucana” con la stessa competenza e dedizione, potendo finalmente utilizzare le sua preparazione di agronomo e le sue capacità di organizzatore ed illuminato programmatore.Nel corso degli incarichi direttivi che gli furono affidati presso l’Ente Riforma affrontò la nuova stagione delle bonifiche, delle sistemazioni idrogeologiche e forestali e della ripartizione secondo criteri di maggiore giustizia sociale delle terre espropriate.E se quella stagione si chiuse con molte ombre e poche luci questo fu dovuto al fatto che molte opere programmate non furono completate, la stessa legge rimase monca e mai completamente sviluppata anche per il cambiamento di molti fattori di macroeconomia e per la trasformazione di quella condizione agricola in altri e diversificati orizzonti di lavoro offerti soprattutto dalla emigrazione interna nelle regioni del nord ed in altri paesi europei economicamente più forti. Ma l’impegno di Salinardi non venne mai meno e soprattutto il suo rapporto con i contadini lucani fu caratterizzato da quella umanità, generosità e signorilità che aveva sempre costituito il bagaglio della sua educazione familiare, della sua elevata competenza culturale, sociale e della sua personale disponibilità verso tutti.E cominciò anche un nuovo capitolo della ricerca storica e dell’approfondimento di vicende, di civiltà, di eventi del nostro passato lontano, fino ad allora non ancora sufficientemente esplorato e valorizzato, lo studio dei documenti, che tanto lo appassionò e lo impegnò, quella esplorazione del territorio alla ricerca dei segni di tempi gloriosi, della ricerca archeologica dalla Lucania Arcaica all’epoca di Roma e dei secoli successivi in modo particolare nella sua terra di Ruoti per la quale nutrì per tutta la vita un attaccamento profondissimo.Suo, tra l’altro, il merito della scoperta e della segnalazione alla Soprintendenza archeologica di vari reperti a San Cataldo di Bella, di una villa romana in località San Giovanni e di un santuario tardoromano nella località Fontana bona vicino all’abitato del paese di Ruoti. I bellissimi mosaici pavimentali e le suppellettili del tempietto e degli altri luoghi esplorati oggi restaurati e valorizzati si possono ammirare nel Museo Archeologico Nazionale di Muro Lucano ed in quello di Metaponto.Per queste sue benemerenze gli fu conferita la Paul Harris Fellow che è la più alta onorificenza internazionale del Rotary Club con questa motivazione: “ Per il prezioso decisivo suo contributo alla salvaguardia e valorizzazione dei Beni Culturali della Basilicata”. Socio per moltissimi anni, dal 1970 al 1975 fece anche parte del Consiglio Direttivo del Distretto di Potenza di questa importante Associazione.Lo studio e la scoperta della numismatica antica lo portò naturalmente al collezionismo nel quale raggiunse una competenza tra le più approfondite in tutto il mezzogiorno, che gli venne riconosciuta ed apprezzata anche da esperti di grande importanza. Non lo sfiorò mai in questa sua passione alcun intendimento speculativo riferito al valore veniale della sua raccolta, anzi la considerò un mezzo per affinare le sue conoscenze storiche: alcuni denari romani da lui ritrovati, in particolare tra quelli coniati dalle legioni in Britannia, in Gallia ed in altre lontane terre dell’impero, suscitavano l’ammirazione ed anche….. l’invidia di tanti cultori di questa appassionante disciplina che coinvolge anche me, in parte anche per merito di Gerardo.Nel 1973 per il Circolo Culturale Ruotese venne alla luce quella che forse è stata la sua opera più completa ed importante: “L’Antica terra di Ruoti in Lucania” con una presentazione dei Professori Vito Scarongella (Presidente dell’Ente Irrigazione di Puglia e Lucania) e Tommaso Pedio, poi ripubblicata ampliata e completata nel 1983 a cura della Comunità Montana Alto Platano, con una nota introduttiva del Prof. Giuseppe Monaco.In questo suo saggio si ripercorrono le vicende storiche della antica terra di Ruoti con una documentazione imponente ed una completezza di indagini sull’ambiente, sui costumi, sui personaggi più significativi: nobili, civili o popolani. Vi si intravede una passione ed una partecipazione intensa e personale nel riferire tanti aspetti della vita cittadina amministrativa, politica, del clero, dei patrioti risorgimentali e dei caduti nelle due Guerre mondiali. Non sono trascurati infine la toponomastica antica ed alcuni particolari aspetti linguistici e dialettali. Ma, per me che sono un appassionato studioso e ricercatore di storia della medicina, suscitò particolare interesse il fatto che Gerardo si occupasse anche di questo, pubblicando nel 1983 sulla Rassegna dell’Economia Lucana “La farmacia di Avigliano nel 1741” ed a cura della Amministrazione Comunale di Picerno e della Comunità montana del Melandro “Da Picerno a Parigi, Giuseppe Nicolò Leonardo Biagio Forlenza, Chirurgo oculista (1757 – 1833)”. Anche in questi due studi dimostrò la sua grande capacità di analisi e ricerca storica.Nel corso della elaborazione di questi due lavori ebbi il piacere – ed oggi devo dire anche l’onore – di essere da lui interpellato per aiutarlo a capire le denominazioni ed il meccanismo terapeutico di alcuni farmaci settecenteschi e le particolari patologie sulle quali essi venivano impiegati. Potrei qui aggiungere altri miei ricordi personali, ma mi riprometto di farlo in altra occasioneAlmeno altre 15 pubblicazioni furono da lui date alle stampe in diverse epoche di argomento agrario, enologico, militare, archeologico, geologico oltre a vari articoli pubblicati su giornali e riviste locali. Sono oramai 18 anni che Gerardo Salinardi ci ha lasciato ma, come accade molto spesso per quei personaggi che riescono ad imprimere un segno profondo nella società e negli uomini del loro tempo, egli è sempre presente perché è stato uno studioso, un cittadino, un lucano, un combattente che ha condotto con competenza e dignità la battaglia della vita e del sapere senza alcun fine di consenso, da maestro disponibile e generoso, da gentiluomo vero per nascita e per tratto, figlio, sposo e padre affettuoso e premuroso, insostituibile amico per chi come me lo conobbe, lo stimò, gli volle bene.
Luigi Luccioni.