Nel mio cuore nessuna croce manca
Il 23 Novembre 1961 i due equipaggi dell’aereonautica italiana avrebbero esaurito il loro compito in Kongo e sarebbero ritornati nel suolo patrio.La mattina di sabato 11 novembre 1961 i due aerei decollano dalla capitale Leopoldville per portare rifornimento alla piccola guarnigione malese dell’ONU che controlla l’aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale.
È una regione dove i bianchi non stanno volentieri e che da mesi è sconvolta dal passaggio delle truppe di Gizenga provenienti da Stanleyville e diretti nel Katanga. Nessuno è in grado di controllare questi soldati: si ubriacano; sono ossessionati dal terrore dei parà di Ciombè; privi di disciplina, compiono misfatti, ruberie, soprusi; terrorizzano non solo gli europei di Kindu, ma la stessa popolazione indigena. Gli aerei italiani però non si devono fermare, rientreranno alla base nella stessa giornata, solo il tempo di scaricare e, per gli equipaggi, di mangiare qualcosa. I due C-119 compaiono nel cielo di Kindu poco dopo le 2 del pomeriggio, fanno alcuni giri sopra l’abitato, poi atterrano. Da vari giorni in città c’è un’agitazione maggiore del solito. Fra i duemila soldati congolesi di Kindu si è sparsa la voce che è imminente un lancio di paracadutisti mercenari di Ciombe; da tempo le truppe di Gizenga che operano nel nord del Katanga, 500 chilometri più a sud, sono bombardati dagli aerei katanghesi.
Quando, il sabato, vedono volteggiare in cielo i due aerei, la paura dei congolesi aumenta; il sospetto diventa certezza: sono i parà. Il terrore e il furore s’impossessano dei soldati, che saltono sui camion e vanno all’aeroporto e poi alla mensa dell’ONU, una villetta distante un chilometro, dove il maggiore Parmeggiani e gli altri italiani si sono recati in compagnia del maggiore Maud, comandante del presidio malese. All’arrivo dei congolesi, sempre più numerosi e minacciosi, gli italiani che sono disarmati, cercano di barricarsi all’interno dell’edificio ma vengono catturati. I pochi malesi di guardia vengono disarmati e malmenati. Il primo a morire è il tenente medico Remotti che tenta di fuggire. I dodici italiani superstiti vengono assaliti; poi pesti e sanguinanti, con il cadavere di Remotti, vengono caricati su due camion, portati in città, e scaricati dove termina la via principale, L’Avenue Lumumba Liberateur, davanti alla prigione, una costruzione bassa di mattoni rossi circondata da una muraglia.
Alle prime luci della sera i militari italiani vengono finiti con due raffiche di mitra. Poi una folla inferocita si scaglia sui corpi martoriati e ne fa scempio a colpi di machete.
Questi furono falsamente accusati di fornire le armi ai secessionisti[2]. I miliziani diffusero la notizia secondo la quale gli italiani fossero in volo verso il Katanga e fossero stati ingannati e convinti ad atterrare a Kindu dai responsabili della torre di controllo; l’inviato speciale Alberto Ronchey per La Stampa pochi giorni dopo constatò lo stato di non funzionamento della torre di controllo a partire da vari mesi precedenti l’uccisione[3]. Soltanto nel febbraio del 1962, quel che rimane di questi italiani, martiri di una missione di pace, verranno scoperti in due fosse lunghe e strette, nel cimitero di Tokolote, un piccolo villaggio sulle rive del Lualaba, sfiorato dalla foresta[4].
Un altro italiano venne ucciso alcuni giorni prima, sempre in Congo, durante un’imboscata da parte di alcune truppe rivoluzionare. Si trattava del volontario Raffaele Soru, anch’egli decorato con la Medaglia d’Oro al Valore Militare.
(FONTE: WIKIPEDIA)
Il comune di Potenza l’11 novembre del 2011 nel 50° anno della triste ricorrenza nella scuola Elementare intitolata proprio a Nicola Stigliani ha inaugurato un busto bronzeo.