Nel mio cuore nessuna croce manca

Biagio Lammoglia M.O.V.M.

Il Caporale Biagio Lammoglia nacque a Maratea il 25 novembre  1891   da  Giovanni e  da  Panza  Filomena.
Biagio Lammoglia era di modeste origini ma, sin da giovanetto, aveva dimostrato  di avere sentimenti elevatissimi.
Il padre era calderaio; la madre era una buona donna di casa tutta dedita, come il marito, al lavoro ed alla famiglia. Biagio ebbe una educazione sana, profondamente morale. La vita umile e stentata della sua famiglia lo abituò alla parsimonia ed al vivere civile. Frequentò con piacere le scuole elementari e trasse gran profitto dalla lettura del « Cuore » di De Amicis i cui episodi amava rileggere e ricordare ai compagni.
Appena ultimata la scuola elementare, giovanissimo iniziò la pesante vita del contadino dando prova di buona volontà e resistenza non comune lavorando in campagna anche sotto le sferzate del freddo, la pioggia insistente o sotto il sole rovente. Tutti ricordano come egli non si ritirasse dalla campagna senza portare a casa dei pezzi di legno raccattati lungo la via e destinati ad accendere il fuoco per evitare che si dovesse comprare la legna necessaria. Spesso accompagnava il padre nelle fiere paesane ove lo aiutava a vendere caldaie, bracieri, pentole, mestoli, paioli, scaldaletti, tegami e tutto quanto  veniva  prodotto  dalle  operose mani  del genitore.
La povertà in cui viveva la sua famiglia lo indusse a partire giovanissimo per il Brasile ove si dette subito a lavorare. Faceva una vita di grandi stenti per poter mandare ogni mese del denaro ai genitori: tutti gli volevano bene perchè era un gran lavoratore e giovane intelligente che passava le ore libere a studiare e ad apprendere la lingua del luogo ove si trovava.
Appena scoppiata la guerra contro l'Austria, egli venne in Italia per compiere il suo dovere di cittadino e di soldato. Partì subito per il fronte con un reggimento di nuova formazione, il 154° Fanteria, e subito si distinse in tutte le operazioni in cui il Reggimento venne impegnato. Fu promosso Caporale e  poi  Caporale  Maggiore.
La lotta sul Carso è stata una lotta assai dura e sanguinosa. Quella terra benedetta è bagnata dal maggiore e migliore sangue italiano. Le trincee si sviluppavano nella terra rossigna e nella roccia dura. La costruzione dei camminamenti costava un quantità di vittime, anche di notte, perchè i malfamati cecchini tenevano i fucili puntati sui punti più nevralgici e rare volte sbagliavano i micidiali colpi a proiettili dirompenti. Ma la costanza dei soldati italiani era semplicemente meravigliosa: si componeva da parte il corpo del Caduto e si ricominciava da  capo.  Nuove  vittime,  nuove  sostituzioni.   I   camminamenti
sono ancora oggi un dedalo intricatissimo. Solo chi era più che pratico e più che coraggioso poteva percorrerli di giorno strisciando per terra, saltando ostacoli improvvisi, percorrendo a corsa folle i tratti scoperti. Fare il porta-ordine di giorno, durante il combattimento, significava avere un cuore di leone. Erano più i porta-ordini che non raggiungevano la meta che quelli che potevano assolvere il difficilissimo incarico. Lam-moglia lo sapeva ed aveva accettato l'incarico più rischioso assolvendolo sempre con una fede inestinguibile. L'8 giugno 1917, benché colpito ad un occhio che gli venne quasi completamente asportato, portò a compimento la sua missione ma bisognava che qualcuno ritornasse in linea a portare la risposta. Non volle che andasse alcuno, volle assolutamente ritornare lui stesso perchè gli altri non sarebbero giunti in linea dato l'andamento del combattimento. A nulla valsero le preghiere. Con l'occhio penzoloni tornò in linea e vi restò fino a che era necessario per portare le notizie attese al Comando. Poi consentì di essere medicato. Erano quelle le tremende giornate di Castagnavizza, di Flondar, dalle foci del Timavo, di Hudi-Log, di Fiamiano, di Dosso Fai ti, di q. 208 nord e sud, di S. Michele, del Vallone di Doberdò, di quota 85. Un calvario per tutti, un cratere di fuoco infernale mentre l'infausto attacco frontale si ripeteva da una parte all'altra del fronte e la più bella gioventù d'Italia cadeva nel nome della Patria.

Lammoglia Biagio fu decorato di Medaglia d'Oro al Valor Militare: « Coraggioso fino alla temerità e già distintosi nei « vari combattimenti per spirito aggressivo,prontezza nell'azione « e sprezzo d'ogni pericolo, durante un attacco notturno, sempre « presente ove il rischio era maggiore e dove urgeva l'opera « di un ardimentoso, servì da informatore, da portatore di ordini, « da comandante di squadra, esempio di serenità e di coraggio. « Ferito con occhio quasi completamente asportato, anziché « curarsi di sé, soccorse il suo comandante di compagnia, « pure ferito, e trascinatosi poi da solo al posto di medica-« zione, appena fasciato, si recò al comando di battaglione a « riferire sull'andamento dell'azione, offrendosi pure di reca-« pitare un avviso al comando di Reggimento ». (Castagnavizza, 8 giugno 1917).
Ricordo bene che al fronte si parlò lungamente di lui, di quest'umile soldato sconosciuto che nel combattimento infernale portava  e  riportava  gli  ordini  con  l'occhio  penzoloni  e
soccorreva, in quelle condizioni, il proprio ufficiale ferito. I combattenti conoscevano tutto l'episodio e se lo narravano con un senso di ammirazione. Il fatto era così bello ed eccezionale che svegliò molti cuori, sospinse molti eroi al compimento del dovere portato fino al sacrificio. Dopo la guerra egli ritornò in Brasile ma l'amore della Patria lo richiamò in Italia. Si fermò con la famiglia a Messina ove è deceduto il 1967. Prima di morire chiese di essere seppellito al suo paese natio, Maratea, che rese alla Sua salma solenni onoranze ed ha intitolato al Suo nome la piazza della bella cittadina che si affaccia  sul   Tirreno.
Maratea può  davvero  essere  orgogliosa  di  Lui !